Cultura

Non solo farmaci all’Europa serve una cura sociale

Lavoro, assistenza, ambiente e scuola sono i fattori che producono salute. Più che i medici e gli ospedali. Lo dice l’Oms che boccia le riforme sanitarie europee, Italia compresa.

di Gabriella Meroni

Avete sempre pensato che a provocarvi quei fastidiosi dolori fosse il vostro ginocchio che non vuole fare giudizio? Eravate certi che a farvi venire il mal di gola fossero le vostre tonsille debolucce? Vi siete sempre accontentati della spiegazione più banale. In realtà le vostre malattie potrebbero dipendere dal fatto che guadagnate troppo poco, o che non riuscite a trovare adeguata assistenza per vostra nonna che non si muove più. Sembra un paradosso, invece è quanto sostiente l?Organizzazione mondiale della sanità, che nel progetto ?Investire in salute? del proprio Ufficio europeo dimostra, dati alla mano, come i fattori economici e sociali influiscano sulla salute molto più dei componenti fisici e biologici. Essere sani, rivela l?Oms, non è solo una fortunata combinazione genetica, anzi il Dna influisce solo per il 20% sul nostro benessere. Il resto lo determinano fattori diversi: se non ci manca il necessario, se abbiamo studiato, se i servizi sociali del Paese in cui viviamo funzionano, abbiamo buone probabilità di vivere più a lungo. Anni, e non solo mesi di vita ci sono ?regalati? da un Welfare che fa il suo dovere e dalla possibilità di garantirci, con il lavoro, un buon tenore di vita.
Due traguardi che non appartengono all?Europa come si potrebbe pensare. Il nostro Continente ospita infatti ben 120 milioni di poveri, la cui salute è a rischio per ragioni tutt?altro che mediche. Se il crollo del muro di Berlino ha unito le due anime europee, la povertà e la mancanza di salute rischiano di dividerle di nuovo, scavando una trincea più grave e discriminante, ben 7 anni di differenza tra l?aspettativa di vita di un europeo occidentale e di uno orientale. L?area europea, che oggi comprende 51 Paesi contro i 31 di 10 anni fa, è a rischio salute, e non per lo scoppiare di improvvise epidemie o di chissà quale morbo sconosciuto.

La ?soluzione radicale?
I problemi dell?Europa sono altri: la povertà, le guerre aperte (ben otto!), la mancanza di assistenza sociale, la disoccupazione, la perdita di valore del denaro. Fattori così rilevanti che istituiscono un rapporto diretto tra il Pil di un Paese e le condizioni di salute degli abitanti.
Che fare, dunque? È possibile ribellarsi a una condanna sociale che suona ancora più definitiva di quella biologica? «È possibile, a patto di non considerare l?ospedale l?unica risposta», dice il dottor Erio Ziglio, responsabile Oms per l?Europa «Mentre questo è il rischio che si corre in molti Paesi europei che stanno riformando i sistemi della Sanità. Il dibattito è troppo settoriale. Si parla di riforma sanitaria solo per cercare il modo migliore di contenere i costi e aumentare i servizi. Ma nessuno pensa a come ridurre la domanda di servizi». La sfida proposta dagli esperti dell?Oms – che hanno messo a punto un programma in 21 progetti da attuare in tre anni nell?area europea, e che si intitola ?The Verona Initiative? dalla città in cui è stato presentato il 2 ottobre – è spostare l?attenzione dall?efficienza dei servizi sanitari ai fattori che producono salute. Esempio tipico: se bere fa male, e lo scopo è scoraggiare il consumo di alcol, si possono scegliere due strade: lanciare una campagna che spieghi i rischi dell?alcol o cercare tramite politiche sociali più ampie di rimuovere le cause che portano la popolazione a bere. Gli esperti dell?Oms la chiamano root solution, soluzione alle radici. «Dobbiamo cercare di fare cultura», continua Ziglio, che per diffondere le conclusioni dell?Oms sta percorrendo l?Europa in lungo e in largo, incontrando politici, giornalisti, imprenditori, esponenti della società civile. «Dobbiamo ambiare la mentalità per cui si pensa che se la povertà aumenta ci saranno solo problemi economici. No: se la povertà aumenta avremo anche problemi sanitari, se l?ambiente è inquinato avremo problemi sanitari, se la coesione sociale diminuisce avremo problemi sanitari, se la situazione economica diventa instabile avremo problemi sanitari. Dobbiamo farlo capire a tutti. Investire in salute: questo dev?essere il comandamento dei prossimi anni».

E l?Italia? Per fortuna c?è il non profit
E l?Italia? Anche qui le diseguaglianze di salute si fanno sentire, e tutte a scapito dei cittadini meno abbienti e meno istruiti, che muoiono di più, come ha dimostrato uno studio condotto dall?Oms in collaborazione con il ministero della Sanità nel ?97. Alcuni dati sono sorprendenti, come quello che mostra un saldo negativo di mortalità tra gli individui più istruiti e quelli senza titoli di studio pari a 40 mila persone nel solo 1990. Non basta? La stessa differenza si riscontra anche tra occupati e disoccupati, indipendentemente dall?istruzione. Ancora, a Roma si è registrata una mortalità superiore del 20% tra i disoccupati senza titolo di studio rispetto agli occupati istruiti e con un buon reddito. E si potrebbe continuare allo stesso modo con l?incidenza dei casi di tumore, di malattie croniche, i calcoli, l?ipertensione… Secondo l?Oms, comunque, l?Italia ha alcuni problemi, ma sugli indicatori classici, tipo speranza di vita o mortalità, non sta peggio di altri Paesi.
Per merito di chi? «Gran parte del merito va alla cultura italiana e alle reti familiari di supporto», spiega Erio Ziglio. «Basti dire che l?80% dell?assistenza è informale, cioè affidata a soggetti diversi dallo Stato. Uno Stato che spesso sembra più impegnato a far vedere che innova con riforme settoriali, ma senza una visione globale. Chi lavora nella Sanità pubblica non può limitarsi a guardare il proprio settore e basta, e così per gli altri ambiti. Chi riformerà le pensioni o le politiche del lavoro dovrà considerarne la ricaduta sanitaria, altrimenti la sanità dovrà curare per anni le vittime della miopia di altre politiche. Invece non ci si pensa e poi si pretende che sia il volontariato a metterci una pezza, a raccogliere chi non rientra nei percorsi stabiliti».
Eh no. Adesso lo si sa per certo: il volontariato, le realtà di Terzo settore che innalzano la qualità della vita contribuiscono direttamente alla salute di tutti.

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